La tacita richiesta insita nelle discussioni e nei provvedimenti della nostra Repubblica è quella di accettare che la propria condizione di ultimi arrivati, e quindi svantaggiati, sia inevitabile e da subire con accondiscendenza.
La condizione di ultimo arrivato può toccare a chiunque, si può diventare ultimo a qualsiasi età. Da bambini quando si comincia il proprio percorso scolastico, da studenti in balia di riforme e controriforme, da neodiplomati ad affrontare il mondo universitario e lavorativo, da disoccupati e in cerca di un nuovo impiego, da lavoratori alla soglia della pensione.
Ebbene si, questa la moltitudine di persone che affronta quotidianamente il danno e la beffa di essere l’ultimo arrivato e di trovarsi a rosicchiare le croste di chi per anni ha avuto l’intera forma di formaggio e l’ha divorata senza criteri né lungimiranza.
Ci si ritrova così ad avere un sistema scolastico sempre più in crisi, povero di risorse e costituito da docenti precari. Un’università sempre più costosa, sempre meno accessibile, che offre sempre meno possibili sbocchi lavorativi. Assunzioni lavorative con sempre meno garanzie, peggio pagati e con contratti a dir poco precari. Una pensione sognata per decenni, mentre si guardava i colleghi più anziani conquistarla per una manciata di anni, a cui si arriva sempre più tardi e con sempre meno certezze.
E le discussioni politiche continuano a proporre questo modello, del chi ultimo arriva peggio alloggia, come se il paese avesse per anni fatto debiti sugli ultimi e ci si ritrovasse ora, all’improvviso, a pagarli tutti e con gli interessi.